Think different!!!

Questa è la storia dell’acquisto di un iPhone. O, meglio, è la storia di un cieco che tenta di acquistare un iPhone con IVA agevolata presso un Apple Store.

Prima di tutto, una premessa per chi tra i miei lettori non avesse l’alcool squisita fortuna di godere degli invidiabilissimi privilegi che conseguono all’eletta condizione d’essere persone con disabilità.

Noi persone disabili avremmo diritto a due tipi specifici di sostegno alla nostra indipendenza, alla nostra qualità di vita e alla nostra inclusione sociale. Il condizionale quando si parla di diritti, in Italia, è ovviamente d’obbligo, che più spesso che no, esigere un diritto è un percorso ad ostacoli che richiede pazienza, determinazione, tempo, energie, non di rado danari, conoscenza del sistema e diverse scorte di fegati, palle (od ovaie) da sacrificare lungo il cammino che, comunque, potrebbe, nonostante i migliori sforzi, non giungere a destino. Dicevo… Noi fortunelli che la sorte ha baciato in fronte con una disabilità avremmo due tipi di diritti: possiamo richiedere protesi, ortesi o ausili specifici tramite il Sistema Sanitario Nazionale, oppure, su alcuni prodotti di comune reperibilità, abbiamo diritto a un’aliquota IVA agevolata (al 4%) e a una detrazione IRPEF, se non siamo incapienti, è ovvio. Tra i “prodotti di comune reperibilità” su cui s’applicano queste condizioni ci sono a buon diritto gli smart Phone.

E così, sabato scorso, 26 settembre 2020, me ne sono andato all’Apple Store presso La Nave de Vero, che sarebbe un centro commerciale in quel di Mestre, più o meno. Il mio intento , povero sciocco, era quello di acquistare un iPhone SE con IVA agevolata al 4%. Per farlo, mi ero munito di scansione del mio verbale di cecità civile e del meraviglioso certificato che attestava “il collegamento funzionale tra la disabilità specifica e il dispositivo”. È un certificato che dev’essere emesso dal medico specialista, del SSN e che non è esattamente semplice procurarsi. Possono volerci anche diversi mesi per ottenere un appuntamento per farselo rilasciare e non sono poche le persone che alla fine ci rinunciano perché ci vuole troppo tempo ed è troppo complicato. È quindi un documento prezioso, che noi tutti conserviamo gelosamente; anche perché, una volta che uno c’ha un pezzo di carta che certifica il legame funzionale bla bla bla bla per acquistare un iPhone, siccome il certificato non ha scadenza, non è che, se l’anno dopo o dopo due anni ti devi cambiare il telefono, ti fai emettere un altro certificato: non serve, ti basta il primo.

Supero le forche caudine delle misure anti COVID e finalmente riesco a parlare con un addetto alle vendite. È tanto carino e gentile. Scegliamo insieme il colore e tutte le altre belle cosine che si scelgono quando si compera un iPhone. E poi arriviamo alla fase del pagamento. Io gli ricordo che mi serve l’IVA agevolata e lui fa: “Nessun problema!”

Ma il problema invece c’è. Lui vuole l’originale del certificato di prescrizione del medico specialista. E non per vederlo. Cioè, lui se lo vuole proprio tenere. Eventualmente, se voglio, me ne può dare una fotocopia, ma l’originale se lo vuole tenere.

Io provo a spiegarli che non è possibile. Non possono pretendere che io gli consegni un documento in originale. E non posso certo lasciarglielo, perché quel documento a me potrebbe servire in un’altra occasione futura. Niente da fare: Apple Retail ha dato queste direttive e da quelle direttive non si sposta.

Io però nemmeno. E così mi fa parlare con il suo superiore.

Io li adoro questi ragazzi degli Apple Store. Devono avere fatto tutti più o meno gli stessi corsi, perché parlano tutti più o meno allo stesso modo. Paiono cloni, in un certo senso. Il responsabile mi spiega con comprensione che lui capisce la mia opinione, ma che Apple Retail ha dato le linee guida e loro le devono seguire.

Io provo a spiegare che non è una mia opinione. È la Legge che dice determinate cose. Quel certificato non è pensato per consentire un solo acquisto di un singolo oggetto, ma certifica il collegamento funzionale tra un tipo di dispositivi e una specifica disabilità. La norma non impone un numero massimo di acquisti in un dato periodo di tempo e non dice che da nessuna part che il venditore abbia il potere di ritirare un documento che è di proprietà della persona che lo presenta e cui è intestato.

E di nuovo: “Io capisco che tu possa sentire in questo modo, Massimo”. Ecco, se volevi farmi montare la mosca al naso, hai trovato il modo giusto: la comprensione sintetica di plastica. Il fingere partecipazione e comprensione del mio punto di vista. Tra l’altro, è una tecnica di comunicazione mediocre e francamente smaccata se non la sai fare bene: l’empatia o la provi o non la provi, ma se la vuoi fingere, devi essere bravo altrimenti risulti ridicolo e anche offensivo.

Io ripeto che non è una mia opinione, ma che è la norma a dire questo. Non è il mio modo di sentire, ma il modo in cui la norma è scritta. Ma non c’è niente da fare: “Lui capisce il mio modo di sentire”. Mi verrebbe da urlargli in faccia. Ma lo capisco: lui è un poveraccio qualsiasi, mandato in seconda linea appena dietro i venditori, pagato magari uno sputo e quello che ha il mandato di fare è applicare delle direttive di cui nulla gli è dato sapere, se non quel che gli è stato detto o scritto. E con quest’armamentario fondamentalmente inadeguato, più un’infarinatura di tecnica di comunicazione da sbarco, è mandato sul fronte. Però io non posso andare a prendermela con i signori di Apple Retail Italia. Loro non sono qui.

E così continuo a tentare di spiegare. Ma non c’è niente da fare: le direttive di Apple Retail sono scolpite nella pietra e non si possono mettere in discussione. Perdo la pazienza. E gli dico: “Guarda che tu stai facendo una cosa illegale: non mi puoi obbligare a consegnare un documento in originale! Se continui così, non mi lasci altra scelta che rivolgermi alle autorità competenti”.

Il mio è ovviamente un bluff: davanti ad abusi del genere, la persona con disabilità, in Italia, non ha difese immediate possibili. Chiamare i Carabinieri o la polizia urbana o anche le Fiamme Gialle non serve a niente. Questi spesso non hanno la più pallida idea delle normative che dovrebbero fare applicare e dei diritti che dovrebbero aiutare a rendere esigibili. Spesso nemmeno sono al corrente delle norme più basilari come quella del libero accesso del cieco accompagnato da cane guida ai luoghi pubblici e aperti al pubblico. Pretendere che conoscano e difendano un’oscura norma che riguarda l’applicazione dell’IVA agevolata per l’acquisto di alcuni beni specifici in favore di una determinata categoria di persone, è francamente una pia illusione. Non esiste un “pronto soccorso” cui un disabile possa appellarsi, se non altro per avere certezza della correttezza della sua posizione. Tutto è affidato alla sua propria determinazione e caparbietà. E anche in un momento successivo, praticamente non esiste un qualcosa che sia al suo servizio per, quanto meno, inviare una lettera di diffida o, ad andar male, per intentare causa. La difesa dei diritti delle persone con disabilità, salvo casi isolati, è lasciata in mano alle vittime di discriminazione o ingiustizia.

Ma il poveretto questa cosa non la può sapere. Magari pensa ingenuamente che davvero qualcosa potrebbe accadere. Ma comunque non si muove. E, anzi, mi dice che lo sto mettendo all’angolo e lui non reagisce bene quando è messo all’angolo.

La conversazione sta acquisendo toni totalmente è surreali. Cerco di fargli capire che non è lui quello messo all’’angolo. Gli spiego che chi sta tentando di imporre un onere irragionevole a qualcuno che di problemi ne ha già abbastanza non sono io, ma è lui e l’azienda che lui rappresenta. E ribadisco che o si sposta dalla sua posizione, oppure non avrò altra scelta che rivolgermi alle autorità competenti… Che non esistono, ma voi non andateglielo a dire!!!

E qui arriva il capolavoro. L’uomo-Apple si fa serio e mi dice che gli sto facendo intimidazione. È Kafkiano: per il fatto di stare chiedendo che venga applicata una Legge dello Stato italiano, io starei facendo intimidazione.

Sono rimasto per un attimo senza parole. Poi cerco di spiegargli, con il massimo garbo che la rabbia montante mi lascia esprimere, che ha detto una colossale, immane sciocchezza. Se gli avessi detto “O mi applichi l’IVA agevolata o ti rigo la macchina!” Allora sì che sarebbe stata una minaccia con relativo tentativo di fare intimidazione. Ma richiamarlo al rispetto di una norma non è intimidazione, è far valere i propri diritti. La risposta è spiazzante: sarebbe soltanto un modo più gentile di fare intimidazione.

Alla fine, dopo non meno di venti minuti di lite, questo se ne esce così: “Guarda, visto che voglio che la tua esperienza qui sia della migliore qualità possibile e la più breve possibile, mi prendo io la responsabilità per la tua IVA al 4%”. Della serie, purché ti levi dalle palle, te la faccio ‘sta cazzo di IVA agevolata, anche se non ne avresti diritto!

E così, alla fine, sia pure con uno sforzo del tutto spropositato rispetto al vantaggio da ottenere, la maledetta IVA al 4% sono riuscito a ottenerla. Ma se al posto mio ci fosse stata una persona meno consapevole dei suoi diritti e della normativa? O se ci fosse stata una persona più stanca o meno tenace?

L’applicazione di un’aliquota IVA agevolata può sembrare piccola cosa. E, in effetti, rispetto ai grandi temi dei diritti fondamentali inesigibili lo è. Che si tratti dell’abbattimento delle barriere sensoriali e percettive, del diritto al lavoro, all’istruzione o a qualsiasi altra cosa, la musica è sempre e comunque la stessa. È praticamente impossibile che passi una giornata senza che qualcosa accada, che qualcosa vada storto. E ci sarebbe da battagliare per la qualunque, tutti i giorni, più volte al giorno. E tutto semplicemente per rimanere a galla. E, talvolta, ci si sente il piombo nelle scarpe.

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