“Non volevo morire vergine”

“Non volevo morire vergine”

 È questo il titolo del nuovo libro di  Barbara Garlaschelli. (Qui il link al profilo FB di Barbara Garlaschelli) Il libro non è ancora uscito. Sarà disponibile dal 28 marzo prossimo. Ma in questo post non voglio parlarvi tanto del libro, che pure leggerò e commenterò, ma mi fa piacere condividere con voi una riflessione scaturita da un confronto su Facebook.
Una riflessione a margine della discussione tra Raffaella e Barbara. Userò in questo post  alcune espressioni che non mi piacciono: abbiate comprensione della mia stanchezza. 

Il mondo dei “media normali” raramente parla di noi persone con disabilità. E, quando lo fa, lo fa spessissimo in modo deprimente. O si ciancia di falsi invalidi, oppure di situazioni disperanti, ai limiti dell’eutanasia, del suicidio-omicidio o della depressione più nera. oppure si magnificano le gesta di qualche eroe disabile, la cui disabilità rende ancora più eroici sforzo, cimento e risultato. Della normalità, ecco, della normalità non parla mai nessuno. Avevamo una grande voce, una voce che la malattia ha spento troppo presto, troppo in fretta: Franco sapeva parlare anche di normalità e, anche quando la normalità era drammatica, accarezzava le sofferenze con levità di parole e intelligenza rara. Ora questa voce la morte l’ha ammutolita e nessuno, fino ad ora, ha raccolto il testimone e il suo blog, “Invisibili”, ci mostra un po’ di meno. Non ho visto le foto di cui Barbara chiede la condivisione, né potrei farlo: il linguaggio delle immagini è necessariamente muto, per me che non posso vederle. Voglio però partire dal presupposto che queste immagini siano inappropriate, violente o che siano anche l’espressione di un narcisismo eccessivo. E abbraccio, per amore di discussione, non necessariamente perché la condivida, la tesi di Raffaella per cui vi sarebbe una ricerca eccessiva della condivisione, della “viralità”.

Ho detto prima che della normalità della disabilità non parla nessuno: non interessa. In meno ancora sono quelli che osano avventurarsi nelle dimensioni del piacere, del sesso e dell’erotismo delle persone con disabilità. Il sesso è una dimensione normale della vita di chiunque e, quando si tratta di sessualità ed erotismo dei “sani”, gli oceani di inchiostro, virtuale e reale, che si spandono eccedono forse il limite di quanto sarebbe opportuno ed equilibrato. Sesso, erotismo, piacere, una triade necessaria quanto normale, s’ammanta di un pesante imbarazzo quando si aggiunge anche la disabilità. La rivoluzione di cui parla Raffaella, quella per cui negli anni ’70 e ’80, abbandonati i reggiseni, le spiagge sono state invase da ogni sorta di nudità, per le persone con disabilità, ancora non solo non si è ancora compiuta, ma è probabilmente ancora lontana dall’iniziare in maniera seria. Dal primo articolo di Acca parlante intitolato “Sesso negato“uscito nel lontano 1983, non molto, non abbastanza è cambiato.  Il corpo nudo della persona con disabilità non ha ancora acquistato una sua valenza erotica. Il corpo nudo di chi è portatore di un handicap, è ancora dominio del “prendersi cura”, ancora dominio di una sanitarizzazione invadente, pesante. Peni, seni, vagine e sederi delle persone con disabilità sono spogliati della loro valenza erotica e regrediscono alle loro valenze pre-sessuate, escretorie, : qualcosa di cui prendersi cura, da pulire, ad andar bene. E anche quando si è riconosciuta la sessualità come un diritto fondamentale della persona, di ogni e qualsiasi persona, questo riconoscimento ha continuato a inciampare, a zoppicare, quando lo si è applicato anche alle persone con disabilità. Ne è dimostrazione la difficoltà che s’incontra, ancora qui ed oggi, a parlare di assistenza sessuale. Se poi s’insiste a voler rivendicare il diritto a una libido anche per le persone con disabilità, ci s’incastra nelle secche dell’amore romantico: insomma, i disabili, ammesso lo facciano, fanno l’amore; aver voglia di una sana scopata è mal visto e qualche volta finisce con il naufragare in parafilie come il devotismo..

Magari la scelta di Barbara non sarà la più appropriata o raffinata dal punto di vista comunicativo. Io non lo so, io non ricevo quella comunicazione: l’ha inviata su un canale che le mie antenne non possono captare. Ma, mi chiedo, è così imprescindibile l’appropriatezza della comunicazione? 

Certo, potendo scegliere tra comunicazione inappropriata e una più appropriata, nessuno avrebbe dubbio. Ma il semplice fatto è che di sesso e disabilità, praticamente, fuori dalle nostre ristrette cerchie di disabili e “addetti ai lavori” non parla praticamente nessuno.

E allora la scelta, al momento presente, non è tra una buona comunicazione e una comunicazione non così buona, ma tra una comunicazione, quale che sia, e nessuna comunicazione. Io, personalmente, scelgo la prima alternativa. Non come punto d’arrivo, né perché non ami la comunicazione ben calibrata, quanto perché occorre infrangere un muro di perbenistica, ipocrita gommosità. E, per farlo, qualche volta occorre ricorrere a strumenti, messaggi o mezzi eclatanti. Poi, rotto il silenzio, avremo tutto il tempo per “rifinire” i “dettagli” e aggiustare il tiro. Ma, nel frattempo, se ne sarà parlato e, il fatto che se ne stia parlando, darà maggiori possibilità e probabilità anche ad altri di poterne parlare a proprio modo.

Come ho già detto e ripetuto, non so né posso esprimermi sull’appropriatezza del linguaggio scelto da Barbara. So però una cosa o, almeno, credo di saperla. Credo di doverle un ringraziamento sincero. Se ho compreso correttamente il sunto del suo libro, racconta il suo percorso di riappropriazione del proprio corpo, non più e non solo come oggetto di cura, ma come qualcosa in grado di dare e ricevere piacere, di suscitare e sperimentare desiderio ed eccitazione, riportando a completezza l’immagine e l’essenza di una persona con disabilità come soggetto e oggetto di desiderio e pulsione erotica. Per avere tolto pannolone e cateteri e averci rimesso il perizoma, ecco, io credo di poterla e volerla ringraziare.

Un giorno, speriamo presto, le persone con disabilità saranno oggetto di poesia erotica e ne scriveranno. Oppure qualche regista di film porno o erotici  porterà sul set, senza morbosità, una persona con disabilità che riuscirà ad essere sex symbol e sogno erotico anche per uomini e donne senza disabilità. E un giorno, l’erotismo e il sesso delle persone con disabilità verranno riconosciuti come quelle dimensioni appaganti e gioiose che possono e devono essere. Ma, fino ad allora, io sento di dover ringraziare chiunque ne parli, anche quando non lo faccia proprio al meglio che sia possibile, perché il silenzio è peggio, molto ma molto peggio.